Morti e sfruttamento per gli abitanti delle terre delle palme da olio: l’inferno è quotidiano. A niente servono certificazioni di sostenibilità, controlli (inesistenti) e garanzie di qualità. I numeri parlano chiaro: quello che Indonesia, Malesia e Singapore stanno perdendo non sono solo ettari di foresta, centinaia di specie animali o biodiversità ma i bambini in primis, anche di soli otto anni, impiegati in attività pericolose, fisicamente logoranti, obbligati a trasportare sacchi di frutti della palma che possono pesare dai 12 ai 25 chili e spesso costretti ad aiutare i genitori nelle piantagioni, quando questi non riescono a rispettare gli obiettivi di produzione sempre più alti, e più difficili da raggiungere. Donne e uomini sfruttati all’inverosimile, ridotti a lavorare molte ore per una paga che ammonta a soli 2,50 dollari al giorno. Tutti lavoratori senza diritti quotidianamente intossicati gravemente da agenti chimici altamente tossici vietati in Europa, ma usati nelle piantagioni. Tra questi il Paraquat, un pesticida fatale se ingerito che provoca nel tempo, se aspirato, insufficienza renale e respiratoria, cancro della pelle e morbo di Parkinson, ma consentito dagli standard Rspo (questa sostanza oltretutto può residuare anche nel prodotto finale). Più aumenta il consumo di olio di palma più queste violenze si fanno atroci. I lavoratori sono costretti a lavorare sempre più lungo e raggiungere obiettivi di produzione sempre più elevati.Se non li raggiungono vengono multati o costretti a lavorare ore aggiuntive senza essere pagati. E non si tratta certo di casi isolati. In Paesi in cui la la corruzione raggiunge livelli altissimi questo sfruttamento non può che essere la norma. Qui a farla da padrone sono gli interessi di lobby e multinazionali occidentali.