I dati di questa indagine dei salesiani della Missioni Don Bosco, pur risalendo a qualche anno fa, non sono migliorati. Ma perché la situazione dell’infanzia in Cambogia non permette molte speranze? Sono molti i bambini invisibili in Cambogia: come dimostra il basso tasso di registrazione all’anagrafe civile e ciò li rende facilmente soggetti al traffico e allo sfruttamento sessuale o come forza lavoro nella produzione agricola, nei mercati o in ambito domestico. Nella società donne e bambini vivono in una condizione di forte subalternità. Per questa ragione le violenze sessuali di cui sono vittime non suscitano forte indignazione perché viste come una semplice manifestazione di potere. Secondo un report di ADHOC (associazione cambogiana per i diritti umani e lo sviluppo) nei primi sei mesi del 2015, ci sono stati 74 stupri di bambini: 5 avevano meno di 5 anni e 32 meno di 10. A questi si devono aggiungere altri 31 casi di stupri di donne, la metà delle quali con disabilità. Gli autori di questi crimini sono spesso giovani: secondo un rapporto dell’ONU, un quarto dei maschi cambogiani ha usato violenza almeno una volta e sui 2000 intervistati 300 hanno commesso il loro primo stupro prima dei 15 anni. Il preoccupante numero di stupri è da legarsi alla vulnerabilità dei bambini poveri soprattutto nelle aree rurali del paese, e all’eccessivo consumo di droga e alcol della popolazione maschile adulta, alla corruzione delle forze dell’ordine e del sistema giudiziario, alla mancanza di esperienza nelle indagini e più in generale alla cultura dell’impunità (secondo un rapporto delle ONG cambogiane, solo un caso di violenza sessuale contro un minore su cento denunciati nel 2011 è terminato in un processo). Quello che ancora deve trovare spazio nella società così come nell’opinione pubblica cambogiane è una maggiore consapevolezza dell’identità dei bambini quali persone titolari di propri diritti e degni di essere rispettati come esseri umani.